Se muore il Sud by Gian Antonio Stella & Sergio Rizzo

Se muore il Sud by Gian Antonio Stella & Sergio Rizzo

autore:Gian Antonio Stella & Sergio Rizzo [Stella, Gian Antonio & Rizzo, Sergio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: General, Fiction
ISBN: 9788858822715
Google: 9KqSCgAAQBAJ
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2015-09-16T22:00:00+00:00


Il calvario della giustizia

E come dimenticare il peso di una giustizia che grava in modo insopportabile sull’economia? Le cronache sono zeppe di storie sconfortanti. La più paradossale, forse, è quella del fallimento, a Taranto, di Otello Semeraro. Era il 1962. Tutto il mondo guardava a Roma per l’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II e a Berlino dove il muro costruito l’anno prima veniva rinforzato da una seconda cinta. Sarà stato per colpa dell’allineamento, rarissimo, delle orbite di Nettuno e Plutone, certo è che sarebbero passati quarantasei anni prima che fosse approvato il rendiconto finale di quel fallimento. Il 23 giugno del 2008, infatti, viene messo a verbale che: “Avanti l’Illustrissimo Signor Giudice Delegato Pietro Genoviva assistito dal cancelliere, è personalmente comparso il curatore Michele Grippa il quale fa presente che tutti i creditori e il fallito sono stati avvisati mediante raccomandata con avviso di ricevimento dell’avvenuto deposito del conto di cancelleria”. E il giudice “dà atto che all’udienza né il fallito né alcun creditore è comparso”. Un’assenza giustificata. Erano tutti morti.

Somme recuperate: 188.314 euro. Cifra modesta. Ma che nel 1962 pesava più o meno 4 milioni di oggi. Fatti i conti, dopo quasi mezzo secolo, risultò che la procedura fallimentare aveva incassato, liquidando le attività della ditta Semeraro Otello, 119.000 euro al netto delle uscite. Quasi 70.000 se n’erano andati in spese varie, tra le quali non era compreso il compenso dell’ultimo curatore. Dopo l’approvazione del rendiconto fu avviato l’iter per il deposito del piano di riparto finale. E per chiudere la procedura servì ancora un altro anno...

Direte: ma quello è un caso assolutamente unico! Forse. Ma la sua sola esistenza dimostra che il sistema è così malato che mostruosità del genere possono capitare. Tanto che già nel 2007 l’allora presidente anziano della Cassazione, Gaetano Nicastro, denunciava che “se lo stato dovesse risarcire tutti i danneggiati dalla irragionevole durata dei processi non basterebbero tre finanziarie”.

La tabella pubblicata nel 2013 dal ministero della Giustizia sulla durata delle procedure fallimentari dice che se qua e là le cose sono migliorate al Nord e anche nel Mezzogiorno, il panorama generale è ancora nero. A Bari, rispetto al 2005, il calvario per un fallimento è stato ridotto da 4057 a 3666 giorni: dobbiamo applaudire se oggi bastano “solo” dieci anni? A Caltanissetta è sceso da 9701 a 5298 giorni, cioè oltre quattordici anni e mezzo: dobbiamo felicitarci? Pensate possa bastare, a un americano?

L’ambasciatore Usa in Italia Ronald Spogli, dopo il ritiro del colosso AT&T dall’asta per Telecom, nel 2007, mandò una lettera al “Corriere” che resta scolpita nel marmo: “Secondo i dati dell’Unctad, la Conferenza delle Nazioni unite per il Commercio e lo Sviluppo, nel 2005 l’Italia ha attirato circa 20 miliardi di dollari di nuovi investimenti stranieri. La Francia oltre 60 miliardi. La Gran Bretagna, leader tra i paesi più industrializzati, 165 miliardi. In qualità di ambasciatore degli Stati Uniti, mi interesso maggiormente degli investimenti del mio paese, e anche in questo caso la situazione non è confortante”.

Fino al 2005, proseguiva l’ambasciatore, “il



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